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La recensione di Beppe Spadini

GRAN TORINO

Dio salvi il buon Clint. E' semplicemente incredibile il livello medio delle sue ultime pellicole, e la sua capacità di leggere la società attuale con una nitidezza abbacinante. Ma ancor più incredibile è che un 80enne costruitosi come paradigma di valori conservatori ora abbia una visione più liberal e tollerante del mondo e delle persone circostanti, pur senza (e questo è il suo gran merito) perdere la propria virile rudezza di fondo e senza rinunciare a colpire in modo politicamente scorretto ciò che ritiene comunque sbagliato e censurabile.
In questo senso il suo ruolo in "Gran Torino" è perfetto: Clint è Kovalski, fresco vedovo, veterano della Corea, deluso della vuota superficialità di figli e nipoti, vicino di casa di una famiglia orientale in un quartiere degradato e in mano alle gang. Proprio un diverbio con alcuni teppisti da il la ad una serie di contatti con la comunità cinese in cui convinzioni negative e pregiudizi non spariscono, ma vengono plasmati e rielaborati grazie alla conoscenza di 2 giovani fratelli, un ragazzo e una ragazza.
A parte la scelta dell'interprete del fratello, davvero modesto, il film appassiona, diverte, coinvolge, fa soffrire. E il finale non delude.

Spadini

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