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Medicina 

Comune di Medicina (BO)
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  • Frazioni: Fossatone, Villa Fontana, Ganzanigo, Crocetta, Fantuzza, Fiorentina, Sant'Antonio, Portonovo, Buda
  • Numero di abitanti: 13276
  • Altitudine (metri): 25
  • Superficie (kmq): 159
  • Cap: 40059
  • Prefisso telefonico: 051
  • Distanza dal capoluogo di provincia: 26
AMBIENTE E TERRITORIO
Sotto il profilo ambientale il territorio di Medicina si presenta completamente pianeggiante (m.25 s.l.m.) e solcato da diversi torrenti e scoli che scendono dalle vicine colline (Torrenti Idice, Quaderna, Gaiana, Canale di Medicina, Sillaro, Garda, Fossatone) per confluire nelle valli a ridosso del fiume Reno (ex Po di Primaro).
La zona a sud, presso l'asse "San Vitale", è caratterizzata da un più intenso insediamento e da aziende agricole a conduzione diretta; a nord della statale e del Canale Emiliano Romagnolo, prevalgono le zone a più estesa coltivazione: "le larghe", un tempo aree vallive poi bonificate.
In quest'ultima fascia di territorio, percorsa dai corsi d'acqua, restano zone umide (valli, casse di espansione, stagni) aventi sia un valore storico-ambientale unico nella pianura bolognese sia un rilevante ruolo di interesse economico, culturale e turistico in via di ulteriore valorizzazione, prima fra tutte l'Oasi naturale del Quadrone, con percorsi, punti di osservazione, museo didattico e centro di accoglienza visite. La Cassa del Quadrone è stata riconosciuta nel 1985 dalla Provincia di Bologna come oasi provinciale di protezione faunistica, grazie al finanziamento regionale e alla disponibilità della Cooperativa Lacme proprietaria dei terreni. E' possibile visitare l'Oasi in primavera ed in autunno anche con l'ausilio di un esperto.
Per informazioni: Ufficio Cultura Roberta Gherardi: tel. 340 6142526.
La Valle della Fracassata è invece un'antica cassa di espansione per l'alimentazione delle risaie attiva fino alla metà del XX secolo e attualmemte trasformata in zona di ripopolamento aviofaunistico. Comprende un'azienda aviofaunistica e una di produzione ittica con la presenza di una zona di laghi per la pesca sportiva "la valle" e un ristorante. Le acque della valle della Fracassata derivano dal vicino canale di Medicina.
E' possibile raggiungerla la strada statale S. Vitale, provenendo da Medicina e percorrendo la via Canale in direzione S.Antonio, al Km 4 si giunge al laghetto-ristorante "La valle".Anche presso il capoluogo, oltre alle zone verdi urbane, sono allestiti percorsi attrezzati lungo il Canale di Medicina (antico canale dei mulini e immissario dei fossati un tempo esistenti attorno alle mura del castello).
CENNI STORICI>
Medicina è situato ad est del territorio bolognese presso i confini con la Romagna e il ferrarese, sulla strada statale San Vitale che collega Bologna con Ravenna (l'antica Via Salaria). Deriva il suo nome dal sostantivo latino medicina "luogo ove si medica, ci si cura".
L'origine preromana degli insediamenti nel territorio è attestata da rinvenimenti archeologici, mentre la centralità di Medicina in un agro romano centuriato è attestata sia dalle maglie di centuriazione ancora visibili (il cardo e il decumano si incrociano in pieno centro storico presso la Torre civica), sia dai diversi reperti archeologici raccolti.
Il nome Medicina compare per la prima volta in un documento ravennate del 1885 e il territorio ad est del capoluogo è denominato Medesano.
Gravitante nella sfera politica dell'Esarcato di Ravenna, ma appartenente ecclesiasticamente alla Diocesi di Bologna, Medicina è soggetta successivamente a diversi domini; dapprima l'Impero germanico, quindi il patrimonio di Matilde di Canossa (di cui il castello medicinese è una importante enclave), poi ancora all'Impero, sotto la cui tutela gode di particolari autonomie amministrative in funzione antiespansionistica nei riguardi di Bologna, per essere infine soggetta allo Stato della Chiesa fino all'Unità d'Italia.
In epoca comunale è sede di Podesteria e di un esteso territorio Pievano e, per le sue prerogative di privilegio amministrativo, nonché per la sua posizione strategica dovuta ai collegamenti con il Ravennate ed il Ferrarese (tra i quali i porti vallivi di Buda e poi di Portonovo), si trova spesso oggetto di conquista da parte di Bologna, ma sempre il suo status viene ristabilito dai poteri centrali e più volte i bolognesi ne sono obbligati a ricostruire o restaurare mura e torri.
Sono presenti e fanno base nel castello di Medicina, a più riprese, Lotario III, Cristiano di Magonza, Enrico VI e Federico II. E' tuttavia con Federico I, il Barbarossa, che Medicina viene, con diploma imperiale del 1155, riconfermata come Comune libero e autonomo, ai fini fiscali, dalle ingerenze di Bologna e ne viene definito il vasto confine territoriale.
L'antica leggenda di fondazione di Medicina unisce poeticamente due elementi storici tra essi lontani, ma significativi: il Barbarossa in questo luogo guarisce grazie ad una serpe caduta nel brodo imperiale e chiama Medicina la terra che lo ha risanato investendola di particolari privilegi ed ampliandone il territorio comunale. Il mito di fondazione ci viene tramandato da una quartina di versi cinquecenteschi:
"Mira tu viator historia bella,
qui per un serpe ebbe pietosa aita
Federico Barbarossa ond'ebbe vita
per cui qui Medicina ognun l'appella"
Anche sotto la sovranità della Chiesa, Medicina è confermata negli antichi privilegi ed è sottratta ripetutamente al completo assoggettamento nel contado di Bologna.
Gli abitanti di Medicina, tra l'altro, godono da tempi remoti (che si fanno risalire agli Arcivescovi di Ravenna e a Matilde di Canossa) il possesso collettivo di vaste estensioni di territorio vallivo e prativo che, gestite dalla Comunità, vengono assegnate agli abitanti maschi del Comune: sono i terreni consorziati e della Partecipanza, che ora restano nella frazione medicinese di Villa Fontana.
E' dal 1507 che la terra di Medicina trova una sua stabile definizione politica e amministrativa. Papa Giulio II, infatti, con breve del 15 gennaio 1507 riconferma la libertà e le esenzioni alla Comunità ed istituisce il mercato settimanale del giovedì all'interno delle mura: mercato che ininterrottamente prosegue anche oggi. La Comunità, che fino al sec. XVI era retta da un Consiglio di "uomini scelti tra i maggiorenti con a capo un Massaro", dal sec.XVII vede il suo rappresentante insignito del titolo di Console e lo stesso governo civico assume l'onorifico appellativo di "Magnifica Comunità". Gli "uomini del pubblico Consiglio" cingono lo "spadino", segno di nobiltà civica e si fregiano di stemma. Anche l'arma comunale (croce d'oro in campo rosso, sormontata dal Capo d'Angiò) si arricchisce della scritta "Libertas" e delle due chiavi pontificie.
I secoli XVII e XVIII vedono Medicina nel suo massimo sviluppo sociale, economico e culturale. Vi prosperano industrie, commercio, edilizia, arte e cultura. La Comunità erige il Teatro pubblico, sorgono diverse Accademie letterarie e musicali e soprattutto si rinnova nel ricco e magniloquente stile sei-settecentesco, l'architettura sacra e privata. Risale a questo splendido periodo l'aspetto scenografico barocco delle chiese con tiburi, campanile e facciate a fondale delle vie del castello e dei borghi esterni in continuo aumento.
Nel 1746 Papa Benedetto XIV, nell'ambito del suo programma di riorganizzazione del governo dello Stato, nell'intento di favorire Bologna, assoggetta a tutti gli effetti civili e fiscali la Comunità di Medicina al Senato bolognese. Varie furono le resistenze e le iniziative di tutta la terra di Medicina per ripristinare le antiche prerogative che l'avevano resa libera e florida.
Nel periodo francese, repubblicano e napoleonico al Municipio di Medicina vengono aggregati il Comune di Castel Guelfo e il territorio di Sesto Imolese, che ritorneranno alle precedenti forme soltanto dopo la Restaurazione, anche se nel frattempo a Medicina verrà istituita la sede di un Governatorato.
Sono numerosi i medicinesi che si distinguono nelle lotte per l'Unità d'Italia: si citano in particolare i componenti della famiglia Simoni. Tra questi Ignazio, che fu uno dei Mille con Garibaldi a Marsala. Lungo l'ultimo quarto dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, l'intero territorio fu teatro di forti manifestazioni sindacali da parte di operai, contadini, braccianti e mondariso (impiegate nelle varie risaie a valle del capoluogo).
Il forte senso di libertà e di autonomia ha favorito in quegli anni il formarsi di numerose cooperative artigiane e agricole, associazioni di solidarietà e organizzazioni sindacali che ripresero nuova energia dopo il ventennio fascista.
I MONUMENTI
Palazzo Prandi (Via Libertà) Opera del tardo Settecento (forse di F.S. Fabri), appartenuto alla marchesa Zagnoni Hercolani. Presenta una distesa facciata a timpano e piramidi alla sommità, con belle sale interne decorate da pitture e da stucchi di Luigi Acquisti nella ricca galleria centrale.
Torre dell'Orologio
La parte bassa, fino alla cornice, venne costruita nel secolo XVI sull'angolo dell'antico Palazzo del Podestà. La parte alta, sopra la cornice, terminante con una merlatura alla "guelfa" intorno alla cella delle campane, è intervento dei primi decenni del Settecento. In seguito a tale aggiunta la torre subì un'inclinazione verso l'interno che rese necessario murare il primo arco di portico su cui appoggia. Sul lato Nord, oltre la targa marmorea che presenta e commenta i versi di Dante riferiti a Pier da Medicina, è collocata dal 1730 entro una nicchia una statua in terracotta della Madonna del Rosario, attribuita ad Angelo Pio "giovane". Più in alto, sotto la cornice e quindi nella parte cinquecentesca, è posto il grande quadrante del sec. XVII, unico lavoro noto realizzato in formelle di maiolica di Faenza, riportante la numerazione antica da I a XXIV con simboli araldici di Medicina: la croce, le chiavi, i gigli. Sul lato Ovest, oltre la cornice, ora trova posto il nuovo quadrante, attivato nel Settecento, con numerazione "moderna" da I a XII.
Chiesa del Carmine
Fu edificata ad iniziare dal 1696 su progetto dell'architetto Giuseppe Antonio Torri per volontà dei Padri Carmelitani del vicino convento. La "vecchia chiesa", che si trovava annessa al convento lungo la "Contrada di Mezzo", era ormai considerata inadeguata all'importanza della comunità carmelitana medicinese che aveva espresso, tra l'altro, quattro generali dell'Ordine. Dopo diversi controversi progetti, venne scelto di innalzare la nuova chiesa nel luogo più idoneo, anche se - esempio unico - separata dall'edificio conventuale da una strada pubblica (Via Canedi). Per ovviare a questo non piccolo inconveniente i frati ottennero dal Comune di realizzare alcuni sottopassaggi tra convento e chiesa e tra i sotterranei di servizio delle due parti, opere che fecero fantasticare a lungo i medicinesi. La costruzione della chiesa si protrasse tra la fine del '600 e il 1724, anno in cui il tempio venne benedetto solennemente. L'esterno, a croce latina con alto tiburio ottagonale, si impone per slancio verticale e coerenza tra volumi architettonici i quali richiamano, intenzionalmente, l'immagine araldica del Monte Carmelo che è ripetuta sul timpano della facciata e nel traforo del campaniletto a vela, sul lato.
La facciata, ultimata nella seconda metà del '700, è organizzata in un unico "ordine gigante" che ne accentua la maestosa elevazione. L'interno venne realizzato secondo il progetto del Torri ma con modifiche nelle misure delle finestre e nel disegno degli stucchi, secondo varianti ideate da Alfonso Torreggiani. Anche internamente lo spazio è valorizzato e dilatato con sapienza pur mantenendo proporzioni di elegante solennità, cui conferiscono nobiltà gli stucchi tra i più espressivi del primo Settecento bolognese, opera di Antonio Callegari, per gli ornati architettonici, di Filippo Scandellari per le 4 statue dei pontefici carmelitani negli altari del transetto, di Angelo Piò per gli angeli e le grandi statue di Elia ed Eliseo nella magnifica ancona maggiore. Nonostante la struttura necessiti di restauri - che vengono realizzati con ovvia gradualità - nell'interno sono ancora conservate al loro posto - restaurate a cura della soprintendenza competente - tutte le pitture settecentesche originali, eseguite per conto di diversi carmelitani medicinesi dai maggiori pittori d'area bolognese, secondo un programma tematico incentrato sulla storia della spiritualità dell'ordine. Il percorso iconografico, leggibile dall'ingresso all'abside, è bene venga rispettato anche nella visita. Nelle prime due cappelle, a destra e a sinistra, sono collocate due pale entrambe di Ercole Graziani, di calda e intensa espressività, rispettivamente dedicate a S. Simone Stoch che riceve lo scapolare dalla Vergine e a S. Pietro Thoma, figure fondamentali del carmelo occidentale. Seguono le due cappelle dedicate l'una ai grandi mistici S. Teresa, S. Andrea Corsini con S. Orsola, di Girolamo Gatti, l'altra a S. Angelo martire e S. Alberto, vigorosa pittura di Giuseppe Marchesi detto "Sansone". Nel terzo altare di sinistra si vede la pala di Antonio Rossi, rappresentante La Vergine e S. Maria Maddalena de' Pazzi; nel corrispondente altare di destra era collocata soltanto una croce, richiamo della spiritualità della grande carmelitana fiorentina dell'altare di fronte. Sull'ancona del transetto di destra figurava il Transito di S. Giuseppe del Bononi che ora si trova in S. Mamante; in quella di sinistra, a copertura delle reliquie del martire S. Liberato, si trova Cristo e S. Liberato di Francesco Calza. A lato, nello stesso luogo, è posta la tela "saracinesca" che stava nell'ancona della Madonna del Carmine, con l'angelo che libera le anime del Purgatorio, lavoro del carmelitano forlivese Carlo Roberti. Ai lati dell'abside furono posti, nel 1788, due grandi quadri dell'imolese Angelo Gottarelli, uno Elia vede la bianca nuvola proveniente dal mare, l'altro Elia dormiente riceve il pane e l'acqua. Da ultimo, entro la monumentale ancona del Torreggiani e del Piò, è ancora collocata, restaurata, l'immagine della Madonna del Carmine la cui testa è scultura lignea di Antonio Querci dei primi anni del Seicento.
Integrano il complesso architettonico e artistico della chiesa i locali della Sagrestia, costruiti intorno alla metà del '700, certamente su disegno del torreggiani - con stucchi di Domenico Gambarini -. Si accede alla sagrestia in maniera indiretta attraverso un atrio ornato da riquadri a stucco contenenti tarde tempere prospettiche del quadraturista, allievo di Ferdinando Bibiena. Fra Ferdinando da Bologna cappuccino (al secolo Vincenzo Dal Buono). Architetture scenografiche e figure (con episodi di santi carmelitani) appartengono tutte al pittore cappuccino e sono datate intorno al 1776. Il locale di maggior pregio e completezza è tuttavia la sagrestia vera e propria, strutturata come una cappella con presbiterio a colonne staccate ed altare con ancona - ornata di vivaci stucchi - ed arredata con sontuosi armadi barocchi, eseguiti da Carlo Galli da Barlassina (autore anche degli stalli del coro nella chiesa). Sopra le mosse linee degli armadi e sulla porta d'ingresso, figurano altre tre splendide tempere prospettiche, dello stesso fra Ferdinando da Bologna, dipinte nel 1754, completate nelle figure (con scene della vita del Beato Franco) da Nicola Bertuzzi, autore della intensa tela, rappresentante il Beato Franco in contemplazione del Crocifisso, posta sull'altare. Raramente è dato vedere un risultato unitario di altrettanta ricchezza espressiva, integro in ogni parte, per quanto da restaurare.
Chiesa dell'Assunta
Progettata dal Torreggiani intorno al 1748, la chiesa fu costruita negli anni successivi per conto dell’antica ed estesa Confraternita dell’Assunta, come sede più qualificata, in sostituzione dell’antica e modesta chiesa osta di fianco al convento dei Carmelitani (attuale residenza municipale) ed oggi aperta come passaggio urbano, il cosiddetto “Voltone”. L’edificio è a pianta centrale, coronato da un armonico tiburio ottagonale con lanterna alla sommità ed ha affiancato uno svelto campanile. Il fronte della chiesa, a due ordini raccordati da larghe volute, presenta tre porte, un’ampia finestra e un timpano triangolare vivacizzato da croce e vasi fiammati. I volumi, serrati ma chiari, creano un gioco di composta dinamicità barocca. L’interno offre un largo respiro spaziale grazie alla vasta calotta semisferica della cupola poggiante su larghi piloni angolari, traforati da porte e coretti ingentiliti da stucchi del più puro “barocchetto” bolognese, proprio del migliore Torreggiani. I due altari laterali sono già improntati al gusto classico: quello di sinistra, del 1784, con sculture di L. Acquisti, è opera elegante dell’architetto medicinese Francesco Saverio Fabri, eseguita prima della definitiva partenza per il Portogallo. Decisamente neoclassico è l’altare di destra, così come l’aggiunta ottocentesca dell’abside, che ospita la nicchia del Crocifisso con angeli di Massimiliano Putti, e soprattutto le due statue dei profeti Davide (con la cetra) e Isaia (con la sega) realizzate da Bernardo Bernardi. E’ infine da segnalare l’immagine in cartapesta del crocifisso, ricordata come opera della seconda metà del Cinquecento, di classica e composta drammaticità, oggetto di grande venerazione da parte dei medicinesi dei secoli passati; ancora oggi però, il venerdì santo, l’immagine è portata in solenne processione.
Il Palazzo della Comunità
Residenza dell’Amministrazione Comunale di Medicina dal sec.XVI fino ai primi anni dell’Ottocento, sede della Partecipanza di Medicina (estintasi nel 1892). Passato in proprietà a privati, soltanto negli anni ’70 il palazzo, con tutto l’isolato, è stato acquisito dal Comune per farne un centro di strutture e attività culturali. Qui in antico erano accentrati tutti i principali servizi comunitari: uffici, archivio, scuola pubblica e Teatro. L’esterno dell’edificio è abbastanza sobrio nelle forme: unici elementi di distinzione sono il settecentesco sporto a “sguscio” con “unghiature” in corrispondenza dei finestrini ovali e la mossa ringhiera in ferro battuto sul portone, dalla quale, preceduti dal suono dei “Trombetti” si facevano gli annunci solenni o si presentavano al popolo i personaggi illustri in visita (ultimo vi si affacciò per salutare i medicinesi, nel 1857, Papa Pio IX). L’interno, ristrutturato alla fine del settecento, presenta un elegante scalone con stucchi e un altorilievo, Madonna con Bambino di L. Acquisti (1780). Le sale superiori, ora sede della Biblioteca comunale, sono anch’esse decorate con fini stucchi tardo-settecenteschi di Antonio Mughini e di ornati pittorici, nei soffitti, di Domenico Pancaldi, Giuseppe Barozzi e Vincenzo Martinelli (scene di caccia alle pareti del salone dello “Stemma”). Nella sala della “ringhiera”, decorata a metà Ottocento, un dipinto murale di carattere architettonico-prospettico, attribuibile ai Basoli, decora la “fuga” del camino.
Chiesa Arcipretale di San Mamante
Così come si presenta oggi, la costruzione è il risultato della completa ricostruzione dell’antica chiesa plebana tre-quattrocentesca, avvenuta tra il 1735 e il 1740 ad opera dell’architetto bolognese Giuseppe Antonio Ambrosi. All’esterno appare come una ampia struttura barocca a croce latina, preceduta da una vivace facciata, caratterizzata da volute a “Molla” laterali e timpano arrotondato, e culminante, all’incrocio dei bracci, con un tiburio ellittico a lanterna. La successione di contrafforti laterali e l’incastro di volumi addossati e degradanti verso la piazza offrono una pluralità di visuali di notevole suggestione architettonica ed urbanistica. L’interno, con 6 cappelle laterali nella navata e 2 nel transetto, è uno dei più interessanti esempi di architettura sacra bolognese della prima metà del Settecento. Il ricco gioco di colonne libere, nella parte centrale e nel presbiterio, e l’elegante decorazione a stucchi opera di A. Callegari, creano un ambiente di forte effetto spaziale e scenografico, diretto a fare convergere l’attenzione sulla centralità dell’altare. Le opere pittoriche e scultoree custodite presso le varie cappelle oltre a costituire un patrimonio d’arte di notevole rilevanza documentano attraverso i secoli fede, storia e susseguirsi delle vicende umane di una comunità. Tra esse la tela di epoca napoleonica con la Madonna di Guadalupe tra i santi Magno ed Emidio; l’intensa tela seicentesca con la morte di S. Giuseppe opera di Carlo Bononi proveniente dal Carmine; il quadro della Mignani Grilli raffigurante il patrono dei coltivatori S. Isidoro; il grande quadro della metà del ‘600 che rappresenta gli apostoli presso il sepolcro vuoto di Maria ed infine La Vergine Assunta in adorazione della Trinità, bella pittura forse del Sementi o del Gessi proveniente dalla Chiesa dell’Assunta.
Il Campanile
A lato della Chiesa di S. Mamante, in posizione notevolmente distanziata e visibile da ogni punto della piazza, si eleva per oltre 53 metri il maestoso campanile parrocchiale. Progettato dall’architetto Carlo Francesco Dotti nel 1752 venne edificato a stralci di lavori, molto staccati, dal 1755 al 1777. La base appoggia sulle fondamenta di un antico torrione cilindrico scoperte casualmente durante lo scavo. A differenza di quanto avviene per i campanili coevi, il Dotti in questa opera conferisce importanza architettonica di rilievo anche all’intero corpo e non soltanto alla cella campanaria. Il sapiente gioco di fasce orizzontali e riquadri verticali incassati del fusto, insolitamente aperto da una serie di cinque ampie finestre per lato, e la solida eleganza della parte alta, di un classico ordine ionico, costituiscono il valore espressivo di questa torre, che per lungo tempo rappresentò un esempio indiscusso nella progettazione architettonica ed urbanistica dei campanili di area bolognese e dintorni. Il concerto di quattro campane che il campanile sostiene è uno dei rari “doppi” settecenteschi rimasti in funzione. Fuso da Domenico Fantuzzi nel 1785 (la “grossa” venne rifusa del 1829 dal Rasori) è accordato nel grave e solenne “tono minore”.
Il Porticone
La costruzione, a 13 archi, voluta dal Comune alla fine del settecento fu eseguita su progetto di Angelo Venturoli e doveva costituire il primo intervento di una serie di costruzioni porticate che completassero fino al termine il tratto non ancora costruito della strada: un vero e proprio piano urbanistico, in cui era stato pensato (e già iniziato su progetto dell’architetto Francesco Saverio Fabri) anche il nuovo Ospedale; piano che non ebbe poi completamento né la prevista continuità, fino alla Chiesa dell’Osservanza, a causa dell’avvento dei francesi.
Chiesa della Salute
Inserita con raffinato garbo in continuità con gli edifici circostanti., la Chiesa di Santa Maria della salute, edificata dal 1728 su disegno di Ferdinando Bibiena , a cura della Confraternita omonima, sostituì l’antico oratorio di S. Antonio abate e l’Ospedale dei Pellegrini, istituzioni di origine medievale che dal Cinquecento erano gestite dall’Ospedale della Vita di Bologna.
ECONOMIA
L'agricoltura, nonostante la rilevante diminuzione di unità operativa degli ultimi decenni, resta ancora una delle attività di maggiore rilievo.
Oltre alle aziende agricole di grande estensione nel settore dell'agricoltura operano circa 505 coltivatori diretti. Di particolare importanza economica, sociale e storica è la Partecipanza di Villa Fontana, antica istituzione di epoca medievale che interessa gli abitanti, maschi, delle parrocchie medicinesi di Villa Fontana, San Donino, Fiorentina, Sant'Antonio tra i quali vengono divise le terre comunitarie.
Fino a tutto il secolo XIX tale istituto esisteva anche per i cittadini di Medicina; vicende molteplici fecero sì che la Partecipanza di Medicina si estinguesse. Resta di questa un vasto e ricco Archivio presso l'Archivio Storico Comunale.
Cooperative di conferimento, di trasformazione e commercializzazione dei prodotti locali - in particolare la cipolla (in attesa di IGP) e il foraggio (pure in corso di riconoscimento IGP) - completano in sede locale le strutture e i servizi del settore.
L'artigianato conta circa 290 addetti e le piccole e medie imprese produttive, dislocate nell'area industriale di Fossatone e del capoluogo (in continua espansione) oltrepassano le 40 unità. Nel capoluogo, e in forma minore nelle frazioni, operano inoltre circa 270 commercianti. La relativa vicinanza alla città di Bologna e ad altri poli industriali limitrofi favorisce la più alta occupazione sia ai residenti storici che ai nuovi cittadini immigrati, che nell'anno 2000 ammontano a 536 individui.

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